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Luca Peroni e i suoi «Toky d’arte» – Di Daniela Larentis

L’artista vicentino ha esposto un'opera alla recente mostra internazionale di arte contemporanea «Passaggi di luce», allestita a Palazzo Zenobio, Venezia

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Luca Peroni è un artista vicentino che fa del riciclo la base della sua arte, le cui opere nascono principalmente dagli scarti della lavorazione del vetro.
Dopo il diploma di geometra ha lavorato nell’ambito della progettazione di arredamenti d'interni, di stand fieristici e nella direzione lavori nel settore delle costruzioni edilizie.
TOKY, il logo che lo rappresenta, nasce dall'internalizzazione del nome dialettale «tòchi», cioè pezzi, scelto da lui per rappresentare l'idea del recupero, sia nel settore delle superfici architettoniche che in altri settori, compreso quello artistico, dove TOKY d’arte rappresenta il lavoro sinergico di più artisti.
Da anni ha un grande interesse per la pittura, ma la sua grande passione resta la fotografia.
Affascinati da una sua opera esposta a Palazzo Zenobio, Venezia, in occasione della recente mostra internazionale di arte contemporanea intitolata «Passaggi di luce» (a cura di Loredana Trestin, Direttore artistico di Palazzo Zenobio, e Federico Caloi, critico ed esperto d’arte), gli abbiamo rivolto alcune domande sul suo lavoro in ambito artistico.
 

 
Il suo lavoro si fonda principalmente sulla lavorazione del vetro. Qual è esattamente il messaggio che vuole trasmettere attraverso le Sue opere?
«Dalla trascorsa collaborazione con la vetreria Venini di Murano è nata la linea da me inventata denominata TOKY for VENINI, superfici dagli sfondi ricchi e materici ottenute riposizionando i vetri di scarto di lavorazioni, opportunamente scelti e calibrati.
«Attraverso le mie opere, le quali nascono anche utilizzando questo stesso tipo di tecnica, voglio trasmettere l’idea che si può fare arte prediligendo l’impiego di materiale di recupero.
«Da collaborazioni con altri artisti è nata TOKY d’arte. L'idea centrale di quest'iniziativa è quella di dare vita a opere a più teste e più mani, creare quindi una simbiosi tra le differenti materie, concedendo ad artisti curiosi di sperimentare nuovi supporti, e nuove simbiosi.
«La freccia nel logo indica chiaramente una direzione, una forza, un'intenzione. Vedremo dove andrà a colpire…»
 
Il «Sabatini Coletti» fra le varie definizione di «arte» la descrive come «Produzioni di opere adeguate ai canoni estetici del bello, prevalenti nei diversi periodi storici…» e anche come «attività dell’uomo basata sul possesso di una tecnica, su un sapere acquisito sia teoricamente che attraverso l’esperienza; in tal senso, coincide anche con un mestiere che richieda un’abilità specifica…».
Che cosa significa per lei la parola arte legata alla sua esperienza personale?
«Arte è una parola che esprime un universo. Quando ero bambino, una qualsiasi espressione d'arte per me poteva essere semplicemente il caricaturista veneziano che, in piazza San Marco, realizzava un qualsiasi disegno su commissione.
«Ora diciamo che per me il concetto di arte è sinonimo di espressione di uno stato d'animo, un mezzo attraverso il quale potermi esprimere.
«L'arte è innanzitutto espressione, quindi come tale è di tutti, dal Palladio (mio idolo) al pasticciere che decora una buona torta (altro mio idolo).»
 

 
Quando si è avvicinato all’arte per la prima volta?
«Un fatto che ricordo e che mi ha avvicinato particolarmente all'arte è stata da bambino la visita ad un museo, durante la quale mi ritrovai incantato dinnanzi ad un quadro, stupendomi di quanto questo sembrasse vero.
«Da giovane ho anche avuto la fortuna di osservare mia zia Emmalisa, famosa ritrattista, che con mano esperta ed estrema sicurezza eseguiva un ritratto alla mia mamma.»
 
Qual è stata la Sua formazione?
«Vengo da esperienze molto concrete di progettazione, di designer e di architettura; da ricerche di materiali innovativi e recuperi energetici. Ma è la ricerca dei materiali la cosa che più mi affascina e con la quale ad oggi porto avanti alcune mie espressioni d'arte.
«Come percorso artistico personale posso dire di essere passato dai classici paesaggi ai ritratti, dagli astratti alla pop art; sempre in compagnia di acquerelli, colori acrilici, colori ad olio, chine ecc; posso dire che la formazione, se così devo chiamarla, ha seguito i miei interessi e i miei esperimenti.
«Non ho seguito corsi di pittura, ma ho osservato molti pittori dipingere, affascinato dalla loro tecnica e dall’armonia sprigionata dalle loro opere.
«La mia fortuna è quella di essere estremamente curioso, inventivo e aperto a qualsiasi novità, e tante volte, dove non arriva il mio sapere arriva la mia fantasia.»
 
C’è qualcuno a cui si è almeno inizialmente ispirato e quali sono i soggetti che ha, almeno in un primo momento, amato dipingere?
«I miei primi lavori avevano due temi ricorrenti: quadri di Morandi, le classiche nature morte, qualche animale, vasi, bottiglie, frutta e molti corpi e volti femminili, spesso materici, soprattutto molte donne raramente vestite.
«Ricordo che uno dei miei primi quadri in cui riproducevo una modella di schiena, l'ho realizzato nel 2003, con due tubetti di colore ad olio, nero e bianco, il tutto senza adoperare pennelli; infatti il quadro lo realizzai con le mie dita: indice e pollice.
«Completai esclusivamente i capelli utilizzando un pettine di legno, schiacciando direttamente sulla tela i colori: rosso, giallo, verde e blu.»
 

 
Da cosa trae maggiormente ispirazione?
«Non so se chiamarla ispirazione, ma sono la gioia interiore e la complessità dei pensieri la partenza dei miei lavori. Mi spiego meglio: gioia interiore nel senso che anche se sei incazzatissimo con il mondo e trovi il coraggio o la forza di concentrarti nel fare qualche cosa di artistico vuol dire che almeno sei riuscito a estraniarti mettendoti a fare qualcosa che ti piace: secondo me un artista che si rispetti quando crea si allontana totalmente dalla realtà che lo circonda, si può dire che stia viaggiando.
«Per quanto riguarda la complessità dei pensieri da cui viene generata un’opera, questo è un aspetto ancora più stimolante dell'essere artista. L’idea viene in un attimo, fulminea, e scorre dalla mente al braccio, dalla mano al pennello, per lasciare sulla tela la traccia di un nostro pensiero.
«Mi piace la capacità, che potrei definire follia, di riuscire a realizzare l'opera in pochi istanti: l'idea prende forma, in una sfida contro me stesso in cui non demordo sino a quando non vedo realizzato ciò che avevo in mente.»
 
Quali sono i materiali che usa nella realizzazione delle Sue opere e come è nata l’idea di utilizzare il vetro?
«Il vetro è solo uno dei molti elementi con i quali lavoro. Se parliamo di vetro riferendoci a quelli della vetreria Venini di Murano, in questo caso si tratta della realizzazione di un interessante studio di recupero degli scarti di lavorazione della vetreria, con lo scopo di farli rivivere in contesti diversi da quelli abituali.
«Da qui è nato il progetto TOKY for VENINI, un prodotto di altissimo valore artistico che è destinato a portare l'arte vetraia in contesti impensabili.»
 

 
Ci può ricordare brevemente qualche realizzazione a cui è particolarmente legato?
«Innanzitutto a linea TOKY for VENINI, altra importante collaborazione è stata quella con un artista spagnolo con il quale è stata realizzata un’opera in cui cemento resina e qualche frammento di vetro hanno dato vita a uno spazio imprevedibile.
«Un altro bel progetto è stato la realizzazione del QUADRO SCRIVANIA, l’inserimento di un quadro del maestro Giampietro in una scrivania, trasformandola in un prezioso oggetto di DESIGN.
«Altro studio interessante è la ricerca fatta sui licheni, assieme all'amico Laurent, non posso dimenticare poi le bibite di vetro e la lampada senza fili, che rappresenta un concetto di trasporto di corrente senza fili, un’opera molto particolare.»
 
Cosa ha presentato a «Passaggi di luce», la mostra internazionale di arte contemporanea allestita da poco a Venezia, a Palazzo Zenobio?
«Come da titolo mi sono attenuto al copione: ho realizzato un quadro sul tema del passaggio della luce. Questo quadro, realizzato con diverse tecniche, vuole rievocare la Venezia e i vari passaggi di luce che ogni persona può osservare in diversi momenti della giornata. Il fondo lavorato di colore grigio molto scuro, quasi nero, riflette una sua luce che pare emergere proprio dal nero.
«Le briccole (i pali immersi nella laguna a delimitare le vie d'acqua) opportunamente sezionate, portano in risalto i fori e le cavità realizzate dalle teredini (animaletti che vivono in laguna e che corrodono il legno).
«Ho poi cercato, utilizzando della resina epossidica trasparente, di rendere la superficie nera del quadro lucida come uno specchio, al fine di riflettere la figura dell’osservatore.
«Penso infatti che, da un punto di vista filosofico, il passaggio di luce più interessante dell’opera sia proprio rappresentato delle immagini delle persone che si riflettono in essa.»
 

L'opera presentata alla mostra veneziana Passaggi di luce.
 
Come considera l’arte contemporanea?
«Mi sento di dire che nell’arte contemporanea vedo spesso troppe forzature, diciamo che per me un’opera d'arte deve essere certamente espressione dell’artista che l’ha creata, ma deve tuttavia risultare comprensibile a chi la osserva, almeno in parte, senza bisogno di essere spiegata.»
 
Progetti futuri?
«Innanzitutto crescere con TOKY d'arte, formando una squadra di artisti per promuovere l'arte e la sua espressività a trecentosessanta gradi.
«C’è all’orizzonte una mostra con altri quattro artisti, una mostra monotematica con opere a più mani e la realizzazione di alcuni oggetti di design ad alto valore artistico.
«Poi un evento di beneficenza a favore della Citta' della Speranza, inoltre un altro evento TOKY d'arte, cavalletti work in progress in via di definizione.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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